Splendeva di oro e
profumava d’incenso, ieri sera, la magnifica basilica pontificale di Santa
Maria Maggiore dove, alle sei di sera ( fino alle otto), si è celebrata, nel
respiro di quiete del canto gregoriano, nel din, don dan della campane di Agnone, la Messa in coena Domini, la messa cioè
che ricorda l’ultima cena del Signore, la messa dell’istituzione dell’eucarestia
e della lavanda dei piedi. Tra i tanti, in seconda fila, c’ero anch’io, persa
nella solennità, immersa nella vita vera, santa (nel senso vero della parola,
cioè separata) dal mondo che, fuori dalle porte basilicali, celebrava invece i
suoi consueti riti quotidiani. C’ero anche io, certo, ma c’era anche una certa
signora un poco colorata in viso che portava ritto sul capo un cappelletto di
pile color arancio e tutto frange che somigliava, nell’arcano che a volte gioca
i suoi tiri, alla cresta di un gallo. E questa signora qui, in prima fila, ogni
tre per due, faceva udire i suoi chicchirichì. Io non so che cosa avesse da
dire o da protestare, poverina (e la compiango), ma le sue intemperanze, questo
posso ben dirlo, erano come parlare di calcio
di fronte a un tramonto sul mare, quando i colori del cielo sono sfumature dell’anima
e il silenzio è sovrano. E sia, ha continuato la signora fin durante la
processione, rovinando il Tantum ergo e quasi quasi finiva per rimediarsi un
pugno da un signore che, al contrario di me, la pazienza non l’aveva messa in
tasca e nel cuore…
Per augurarvi buona
Pasqua, manderò un coro di passeretti canterini alle vostre finestre,
nella magia del mattino presto quando l’incanto del giorno è ancora raccolto
nell’uovo, l’uovo della Santa Pasqua: auguri!
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