Da quando, dopo il
viaggio antico, sono ritornata nel paradiso terrestre con due gatti con gli
stivali nella bennibag e tre occhi al posto di due, nella grazia divina della
luccicanza, mi pare di leggere il mondo a memoria come la pagina tal dei tali
(Nuvens…) del Libro dell’Inquietudine che è stato unico e solo argomento della
mia tesi di laurea in letteratura portoghese.
Guardo, sgomenta, gli uomini e le donne incatenati, nel
vento della reazione. Non agiscono, meschini, reagiscono, figli innocenti del
piccolo ego in armatura che li conduce fin dal momento dell’incarnazione. E non
imparano le lezioni del mondo che pure manda loro angeli e arcangeli e anche
diavoli a volte affinché gli occhi si aprano nella consapevolezza. Li vedo, li
vedo, e vorrei aiutarli, usare con loro il mio prana, che è dono immeritato:
io, vuota di me, ad accogliere il cosmo. Ma la verità, vergine danzante, fugge
via, nelle chiacchiere quotidiane che rendono il mondo ciò che non è. E io, da
sola, con i miei pensieri nel mistero delle sere rosa.
Va bene, lascio stare,
sono discorsi degni di Ermete Trismegisto e tanto oscuri che neanche io so come
sono usciti dalla testa nell’inchiostro e dunque passo a raccontarvi la storia
tragicomica di un’amica, bellissima, che inanellava fidanzati e innamoramenti.
Mi disse, un giorno, che ne aveva incontrato uno, un tipo voglio dire, che era
la fine del mondo e forse di più. Nell’avventura, vissero, loro due, forse tre
mesi. Notizie, poche, ché quando il letto comanda il tempo corre al trotto. Un
giorno, al telefono, l’amica mi spiegò che era allarmata perché lui, e chissà
perché, teneva nascosto in un cassetto del comodino un certo foulard (“quel suo
foulard”, lo chiamò) e guai a toccarlo, per carità, ché eran dolori e urlacci e
chissà che cosa d’altro ancora. Il busillis si chiarì, con quell’ironia di
naufragi di cui è zeppa la vita di chi vuol esser cieco e sordo alle lezioni,
un giorno a casa mia quando, io e lei a pranzo, al Tg1, mostrarono l’arresto di
tre rapinatori… Quel suo foulard.
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